Nel 2018 quasi l’80% delle aziende italiane con più di 50 milioni di euro di fatturato ha lamentato frodi interne compiute da parte di dipendenti, collaboratori o consulenti, anche in associazione tra di loro.

A fronte di questi dati può sembrare legittimo che le aziende, per tutelare il loro patrimonio, possano voler installare dei sistemi di videosorveglianza occultati all’interno dei luoghi di lavoro per monitorare il comportamento dei dipendenti sospettati di compiere atti lesivi nei confronti della stessa azienda.

Ma a difesa dei dipendenti interviene la L 300/1970, in particolare l’articolo 4, che vieta l’installazione di sistemi di videosorveglianza all’interno del luogo di lavoro senza accordi preventivi con i sindacati. C’è da chiedersi quindi se le aziende possano installare telecamere occulte e se le registrazioni dei filmati che incastrano un eventuale dipendente truffaldino possano essere utilizzate come prova per licenziarlo.

In linea generale l’impiego di telecamere è vietato salvo quando serve per tutelare il patrimonio dell’azienda e prevenire il rischio di furti, appropriazioni indebite, danneggiamenti o altri reati ai danni dell’impresa. Anche in tali circostanze l’installazione del sistema di videosorveglianza deve essere concordata con i sindacati e i dipendenti devono essere messi al corrente del numero e dell’ubicazione delle telecamere, nonché delle modalità di raccolta e conservazione dei dati personali. Le telecamere, inoltre, possono essere installate con l’unico scopo di esercitare un controllo a tutela dei beni aziendali e non possono essere utilizzate per sorvegliare l’attività lavorativa dei dipendenti.

Se però il datore di lavoro nutre il fondato sospetto, corroborato da risconti oggettivi, che vi sia in corso un’attività illecita da parte di uno o più lavoratori, può legittimamente installare all’interno della propria azienda delle telecamere occulte “per esercitare un controllo a beneficio del patrimonio aziendale, messo a rischio da possibili comportamenti infedeli dei lavoratori” (Corte di Cassazione,  – Seconda Sezione Penale, Sentenza 22 gennaio 2015, n°2890). Gli articoli sopra citati, infatti, tutelano la riservatezza dei lavoratori, ma non fanno divieto dei cosiddetti “controlli difensivi” del patrimonio dell’azienda e non ne vietano l’utilizzo come strumento per procedere a contestazione disciplinare o licenziamento per giusta causa, anche attraverso la produzione delle prove così ottenute in sede giudiziale.

Le telecamere, però, possono essere utilizzate solo quando sussista un fondato sospetto e devono essere installate con il preciso scopo di attuare i controlli difensivi. L’occhio elettronico occulto dev’essere installato solo per il tempo necessario a raccogliere le eventuali prove del misfatto e tutelando la riservatezza degli altri lavoratori che dovessero attraversare il campo di inquadratura delle telecamere durante lo svolgimento delle loro mansioni lavorative.

Le telecamere occulte, infatti, sono per loro natura strumenti idonei a monitorare anche quei comportamenti (come ad esempio lo svolgimento delle normali mansioni lavorative) che esulano dalle ipotizzate condotte fraudolente oggetto di controllo. Per questo motivo il datore di lavoro dovrebbe demandare l’installazione e il controllo del sistema occulto di videosorveglianza ad un’agenzia investigativa dotata di licenza prefettizia.

In tal modo il datore di lavoro delegherà il monitoraggio ad un professionista esterno autorizzato il quale provvederà a “confezionare” le eventuali prove del misfatto includendo solo gli spezzoni di filmato, o i fotogrammi, che documentano il comportamento illecito e non altri. L’agenzia investigativa agirà quindi rispettando il principio di pertinenza e non eccedenza delle prove rispetto alle finalità dell’indagine.

(vedansi anche le sentenze: Corte di Cassazione, Sentenza 2 maggio 2017 n° 10636 – Corte di Cassazione, Sentenza 4 dicembre 2014 n°25674)