Una volta c’era Sherlock Holmes. L’immaginario collettivo associa la figura del detective privato all’immagine dell’uomo con il trench, magari appostato all’interno di un’auto mentre regge una fotocamera con un grosso teleobiettivo, pronto ad immortalare, documentare le vite degli altri con una serie di scatti a ripetizione.

Nonostante le speculazioni cinematografiche dei film gialli e degli spy movies quest’attività esiste ancora. Gli addetti ai lavori la chiamano OSD (Osservazione Statica e Dinamica) e anche se i teleobiettivi hanno lasciato il posto ad attrezzature più discrete, in molti casi il “pedinamento” rappresenta tutt’oggi l’ossatura dell’investigazione, poiché la documentazione fotografica gode di quel valore probatorio che rende il rapporto investigativo producibile in sede di giudizio.

Le attività classiche dell’investigazione non tramonteranno forse mai, ma al giorno d’oggi sono solo una piccola parte del lavoro e sono integrate in una più ampia attività di raccolta e analisi delle informazioni: l’intelligence. Infatti ciò che è davvero cambiato rispetto al passato è l’approccio all’informazione. Soltanto un tipo davvero distratto non riesce a rendersi conto di quanto oggi stia cambiando lo scenario tecnologico che ruota intorno a noi e che impatta ogni livello della struttura sociale.

Con l’avvento di Internet, dei Social Network e di IoT, ogni persona è connessa alla Rete e lascia dietro di sé, più o meno volontariamente, una lunga scia di informazioni. Non serve essere dei pubblicatori compulsivi di foto sui social network; anche soltanto prenotare una stanza d’albergo su Booking.com, un volo con eDreams, ascoltare musica sul proprio account Spotify è sufficiente per lasciare in Rete delle tracce della propria presenza, delle informazioni che, sapientemente raccolte, analizzate, interpretate dai professionisti dell’Intelligence, possono dire su di noi molto più di ciò che vorremmo.

Negli ultimi anni, la digitalizzazione delle informazioni e la condivisione in tempo reale, dove tutti possono fotografare, scrivere, segnalare, su varie piattaforme, blog, social network, si sta dimostrando un’arma potente per raccogliere informazioni preziosissime, che persone e aziende non possono più sottovalutare.

La raccolta di queste informazioni utilizzando gli strumenti informatici rientra nel vasto campo della Cyber Intelligence, ma le agenzie investigative private, che per legge e per deontologia non possono accedere alle informazioni riservate, fanno largo uso di una specifica disciplina di Intelligence che sta prendendo sempre più piede anche in Italia: l’OSINT.

OSINT è un acronimo che sta per Open Source Intelligence, ovvero la raccolta, l’analisi e l’interpretazione delle informazioni ricavate da fonti aperte, di pubblico accesso e non segrete. Giornali e riviste online, forum, social network, ma anche archivi anagrafici, database commerciali, pubblicazioni scientifiche, nonché il “lato oscuro del Web” (Deep Web e Dark Net) sono solo alcune di queste fonti.

Anche se di pubblico accesso, queste informazioni sono spesso difficili da trovare e prese singolarmente possono essere di scarsa utilità, ma se sapientemente vagliate e correlate tra loro possono essere trasformate in conoscenza. OSINT infatti non è una mera attività di ricerca, ma un processo di intelligence dove ogni informazione è raccolta, analizzata, validata e correlata al fine di trasformare il dato informativo grezzo in una “notizia” utile ai fini dell’indagine.

Le metodologie OSINT sono utilizzate in ambito investigativo per acquisire notizie utili su un soggetto fisico o su un’azienda, per redigere report reputazionali su dipendenti, soci o fornitori (le cosiddette Due Diligence Investigations), ma anche per conoscere in tempo reale opinioni, azioni e talvolta – grazie alla geo-referenzazione dei contenuti social – anche la posizione, di una persona o di un gruppo.

La disciplina OSINT si avvale di raffinate tecniche di raccolta informativa, che includono l’uso avanzato di motori e metamotori di ricerca (no, non stiamo parlando di Google, ma di strumenti più raffinati, come i “motori di ricerca computazionale” i meta-motori e i “clustering engine”, solo per citarne alcuni), l’uso di software specifici dedicati all’analisi e alla profilazione delle informazioni digitali (il software Maltego, ad esempio), tecniche di ingegneria sociale e di investigazione digitale. Ogni informazione acquisita subisce un processo analitico di validazione, che gli addetti ai lavori chiamano “distillazione”, per verificarne l’attendibilità.

Questo è particolarmente importante quando le fonti dell’informazione sono i Social Media. Essi, da soli, rappresentano un contenitore inesauribile di notizie e la raccolta di informazioni sui Social è così importante da essersi guadagnata un nome tutto suo (SOCMINT), ma il processo di validazione delle fonti è più delicato poiché si abbassa di molto quello che nel gergo dell’Intelligence si chiama signal to noise ratio ovvero il rapporto tra le notizie veramente utili e il “rumore di fondo” rappresentato dal chiacchiericcio inutile e spesso ingannevole tipico dei Social.

L’enorme quantità di dati che si possono trovare grazie all’utilizzo del Web dimostra come il problema principale legato alla raccolta e analisi derivi non tanto dalla ricerca, ma piuttosto dalla difficoltà nel validare l’attendibilità delle fonti, discriminare le informazioni rilevanti da quelle superflue, nonché dalla tempistica che gli analisti devono affrontare per svolgere l’analisi, il consolidamento e la diffusione dei risultati richiesti. Per rispondere a questa necessità è stato elaborato un processo chiamato “ciclo OSINT” che si ispira al ciclo dell’intelligence e si compone di quattro fasi, definite le 4 “D”.

  1. Discovery: In questa prima fase gli analisti individuano le fonti, rispondendo alla domanda “chi sa cosa”, per comprendere chi è in possesso di determinate informazioni e in che modo gli analisti possono accedervi. L’individuazione di una fonte è un processo importante perché l’utilizzo di fonti aperte ottimali permette non solo un risparmio di tempo, ma anche l’accesso diretto all’informazione richiesta. Ostacolo nel reperire le fonti potrebbe essere dato non solo dai vincoli di privacy inerenti un argomento, ma anche dall’aspetto linguistico: alcune fonti infatti potrebbero presentarsi soltanto nella loro lingua originale senza una traduzione in inglese o in italiano, fattore che impone l’utilizzo di servizi di traduzione.
  2. Discrimination: Una volta individuate le fonti ed avuto accesso alle informazioni è necessario effettuare un’attenta selezione delle stesse distinguendo quelle attuali da quelle datate, quelle rilevanti da quelle inutili e quelle accessibili perché economicamente convenienti da quelle proibitive ed impossibili. Soprattutto nell’epoca di Internet la quantità di informazioni disponibili è disarmante. Senza un processo sistematico di discriminazione è impossibile isolare le informazioni utili e trasformarle in conoscenze.
  3. Distillation: Il vero processo di intelligence si realizza nella capacità di analisi delle informazioni acquisite che devono essere “trasformate” in un unico corpus di conoscenza utilizzabile dal fruitore per soddisfare i requisiti di intelligence e facilitare il processo decisionale. Questa può essere considerata l’attività più complessa e difficile per l’analista perché costui deve essere capace di discernere tra l’informazione ed il fatto e deve fare sempre riferimento alla fonte che ha prodotto tale informazione; da evitare anche gli errori dovuti ai preconcetti, all’eccessivo razionalismo, all’etnocentrismo, alle proprie visioni politiche.
  4. Dissemination: Il corpus di informazioni dev’essere “confezionato” in modo da essere facilmente comprensibile ed immediatamente fruibile da parte del committente. Le informazioni devono essere quindi trasmesse alle persone giuste nei tempi corretti, affinché mantengano quel valore aggiunto a supporto dei processi decisionali.

Lungi dall’essere una mera attività di ricerca online, l’OSINT è una disciplina adottata anche da agenzie di intelligence militari per importanti valutazioni strategiche, così come le Forze dell’Ordine si avvalgono di tecniche SOCMINT per monitorare le potenziali minacce terroristiche. Non di meno, alcune aziende si avvalgono delle metodologie OSINT per “profilare” clienti, fornitori e candidati a posti di lavoro, ma anche per valutare la propria reputazione agli occhi dei consumatori e del pubblico.

L’importanza dell’Open Source Intelligence raggiunge il suo apice nel mondo delle investigazioni private, dove non è possibile avere accesso legale alle informazioni classificate. Per questo motivo oramai da anni la figura dell’analista OSINT è presente anche nelle moderne agenzie investigative.

L’attività richiede una serie di competenze specifiche, eterogenee e complesse.  In linea generale un buon analista di Intelligence OSINT dovrà avere competenze di Intelligence Analysis,  di analisi dei dati e di informatica. Dovrà conoscere bene i software specializzati, ma dovrà anche avere rudimenti di linguistica e di economia, nozioni di ricerca bibliotecaria e d’archivio, conoscenze di psicologia e, perché no, di una o più lingue straniere. Al di là delle competenze tecniche, il valore aggiunto di un buon analista OSINT è rappresentato da una generosa dose di intelligenza, di capacità di analisi e di intuito investigativo.

“L’informazione è il sistema nervoso della società. Tutti emettono involontariamente informazioni che un bravo professionista dell’intelligence sa cogliere e sa ricomporre; la raccolta e l’analisi delle notizie involontarie può essere fruttuosa per conoscere ciò che si desidera, l’informazione nascosta, l’obiettivo. Il professionista dell’informazione è colui che sa cercare, stimolare, raccogliere, interpretare, conservare correttamente, elaborare e trasmettere una notizia.” (tratto da “Come funzionano i Servizi Segreti” di Aldo Giannuli”)