Congrua la sanzione espulsiva in riferimento all’abuso di permessi Legge 104, illecito che non fonda la sua ratio nella reiterazione del comportamento scorretto ma che trova rilevanza nell’elemento soggettivo della condotta, ovvero il perdurare dell’ipotesi di dolo.

Lo stabilisce la Cassazione con la sentenza numero 8209/2018, attraverso la quale la Suprema Corte conferma che l’improprio utilizzo dei permessi per assistenza parentale legittima il licenziamento per giusta causa, non necessitando pertanto del congruo preavviso.

La Corte evidenzia che la fruizione di detti permessi retribuiti comporta il configurarsi di una fattispecie illecita, in quanto il beneficiario del permesso si appropria di un’indennità economica ai danni dello Stato.

Nel caso di specie la dipendente infedele contestava la legittimità dell’irrogazione della massima sanzione (licenziamento) in relazione alla singolarità dell’episodio contestato e alla pregressa ineccepibile condotta lavorativa.

Il Supremo Collegio ha confermato l’orientamento dei due precedenti gradi di giudizio considerando legittimo il licenziamento del dipendente che usufruisce indebitamente di assenze retribuite dal lavoro; precisa infatti la Cassazione che la gravità del fatto commesso e l’acclarato abuso del diritto acquistano una rilevanza predominante rispetto alla reiterazione della fattispecie scorretta.

Il principio espresso dalla Corte dà rilevanza penale alla condotta in oggetto e mira ad evidenziare la gravità del comportamento posto in essere privilegiando l’elemento soggettivo che sottende all’illecito (malafede) e non quello quantitativo del perdurare dell’abuso illecito.