L’attività su Facebook può portare al licenziamento per giusta causa, soprattutto quando i dipendenti utilizzano il Social Network, ad esempio, per ledere e discriminare i titolari o le loro attività commerciali.
Certo una misura del genere va sicuramente giustificata, dimostrando l’effettiva sussistenza di condotte, oltre che inadeguate dal punto di vista disciplinare, anche talmente rilevanti da impedire la continuazione di qualsiasi rapporto professionale.
Per stabilire ogni provvedimento disciplinare bisogna considerare prima di tutto la gravità dell’illecito in questione e il reale comportamento del dipendente. Fattori che permettono di capire quale sanzione dei contratti collettivi di lavoro scegliere. Tali sanzioni possono essere:
- conservative (quando si limitano a un semplice richiamo, a una multa o ad altre azioni moderatamente afflittive);
- espulsive (quando impongono provvedimenti più drastici tipo la risoluzione del contratto).
Il 24 dicembre 2015, il Tribunale di Bergamo ha deciso che il licenziamento per giusta causa è percorribile se un dipendente pubblica nel profilo Facebook personale delle immagini che lo ritraggono impugnando un’arma.
Il 28 gennaio dello stesso anno, poi, il Tribunale di Ivrea ha imposto la conclusione del rapporto lavorativo di un dipendente che aveva postato nella piattaforma Social delle frasi offensive nei confronti del titolare e dei colleghi.
Secondo quanto stabilito dalla Sentenza di Cassazione. num. 15654/2012, per legittimare un licenziamento si possono considerare tutti i comportamenti che fanno vacillare la fiducia del datore e che interferiscono negativamente sull’andamento aziendale.
Il 14 marzo 2017, invece, la Corte d’Appello di Potenza ha accordato il licenziamento per giusta causa di un lavoratore colpevole di aver condiviso un comunicato oltraggioso per la sua impresa (pur non avendolo scritto in prima persona, la semplice condivisione ha espresso il suo consenso).
Ciononostante, sussistono comunque dei casi contrari a quanto appena detto, come ad esempio quello in cui, il 17 febbraio 2017, la Corte d’Appello di Roma ha accettato l’impugnazione del licenziamento di un lavoratore che aveva pubblicato frasi diffamatorie verso il Direttore Generale della propria azienda.
Il motivo della scelta è dipeso dal fatto che nel contratto collettivo nazionale di lavoro del dipendente (autoferrotranviere) si specifica come casi del genere possano essere puniti solo prorogando i termini per l’aumento dello stipendio.
Un caso analogo di non licenziamento arriva dalla sentenza num. 2499/2017. In tale circostanza la Suprema Corte ha stabilito che non potevano essere allontanati dal proprio posto di lavoro i dieci dipendenti che avevano diffuso in una chat di gruppo una vignetta satirica sull’impresa.
A giustificare tutto questo rientrano fattori quali la ridotta divulgazione della vignetta (vista per l’appunto da sole dieci persone) e la mancanza di prove che accertassero la diffusione della stessa fuori dal contesto lavorativo.
Com’è chiaro, il licenziamento per giusta causa annesso all’utilizzo di Facebook dipende da tutta una serie di componenti che includono ad esempio:
- le penalità previste dai singoli contratti collettivi nazionali di lavoro;
- l’effettivo contenuto delle chat o dei post pubblicati;
- il mezzo utilizzato per diffondere immagini e contenuti testuali;
- ecc.
Visto che le decisioni possono variare moltissimo a seconda delle effettive circostanze presenti, ogni lavoratore alle dipendenze altrui dovrebbe prestare la massima attenzione prima di pubblicare qualsiasi cosa collegata al proprio ambiente di lavoro. Ambiente nel quale è opportuno rivelarsi sempre discreti, educati e rispettosi nei confronti degli altri
Prima di agire, conosci.