Il segreto professionale dell’investigatore privato è uno dei principi base del lavoro dei detective, che incardina le caratteristiche di professionalità e riservatezza a cui tutti gli istituti investigativi devono adeguare.
Le disposizioni di Legge
L’argomento del segreto professionale è da sempre controverso e spesso è alla base delle paure del cliente, che teme di veder rivelata la propria identità e le proprie intenzioni. In realtà, il rapporto contrattuale tra l’investigatore e il committente è vincolato da precise norme deontologiche e disposizioni di Legge.
Il segreto professionale dell’investigatore privato è un obbligo normativo ben delineato e una garanzia fondamentale per il cliente, che si affida alla sua professionalità e discrezione per la risoluzione di un problema o di una controversia. Le Regole Deontologiche prevedono che gli istituti investigativi debbano mantenere il segreto professionale su tutte le informazioni e i dati acquisiti durante l’attività di investigazione, ma anche prima e dopo le stesse, salvo i casi in cui la legge li obblighi alla loro comunicazione.
Il diritto alla privacy
L’investigatore privato deve rispettare il diritto alla privacy delle persone coinvolte nell’attività di investigazione, non deve divulgare informazioni riservate o utilizzare mezzi illeciti per ottenere informazioni. È inoltre fatto obbligo all’investigatore di eliminare tutte quelle informazioni che sono eccedenti e non pertinenti rispetto alle finalità d’indagine.
Inoltre, nel caso delle indagini difensive in ambito penale, l’investigatore privato autorizzato dall’avvocato difensore ha facoltà di avvalersi del segreto professionale e in sede processuale non può essere obbligato a deporre su quanto ha appreso in ragione della propria professione. Tale facoltà si estenderebbe anche in ambito civile in base a quanto stabilito dall’Art. 249 c.p.c.
In merito a quest’ultima fattispecie si è espressa anche la Corte di Cassazione per un caso in cui un investigatore privato che si era rifiutato, durante un processo civile, di riferire il nominativo della propria fonte, era stato incriminato per falsa testimonianza. La Corte di Cassazione ha però assolto il professionista, ritenendolo non punibile poiché in base all’art. 249 cpc (che rimanda agli artt. 200, 201 e 202 cpp) “non avrebbe potuto essere obbligato a deporre o comunque a rispondere” (cfr. Cass. Pen, sentenza n° 7387/2005).
Prima di agire, conosci.